Il tema, di frequente approdo nella aule giudiziarie, riguarda il licenziamento (per giusta causa) irrogato al lavoratore che venga sorpreso a svolgere attività lavorativa durante l’assenza dal lavoro per malattia.

Lo svolgimento di attività lavorativa in pendenza di malattia fa, infatti, presumere, o che lo stato di malattia sia simulato, o che esso, ove effettivamente sussistente, pregiudichi o ritardi la guarigione, con relativo slittamento del rientro in servizio del lavoratore.

Tale situazione, siccome contraria (perlomeno in astratto) alle regole di buona fede e correttezza cui è sempre vincolato il dipendente, è, evidentemente, idonea ad incidere sulla fiducia del Datore di lavoro nei confronti del lavoratore, ledendola irrimediabilmente.

A prescindere dai casi (peraltro piuttosto rari) di simulazione dello stato di malattia, per cui il lavoratore, con il concorso di medici compiacenti, si fa falsamente diagnosticare uno stato di malattia, e durante l’assenza dal lavoro per (falsa) malattia, va a lavorare da un’altra parte, casi nei quali non può dubitarsi della manifesta violazione dei principi di buona fede e correttezza da parte del lavoratore, con conseguente piena legittimità del licenziamento, il discorso si fa più complesso negli altri casi, poichè non è detto che ogni e qualunque attività lavorativa svolta durante l’assenza dal lavoro per malattia sia idonea, per le sue concrete modalità, a pregiudicare o a ritardare la guarigione del prestatore, pregiudicando la tempestiva ripresa del servizio.

E’, quindi, evidente che tutto ruota attorno alla prova da fornire in giudizio.

Il Datore di lavoro dovrà fornire la prova dell’addebito disciplinare, ovvero la prova dello svolgimento, da parte del dipendente, di attività lavorativa durante l’assenza dal lavoro per malattia.

Mentre il lavoratore sarà onerato di fornire la contro-prova che l’attività lavorativa che gli viene contestata o non è stata svolta o, se svolta, non ha avuto nessun impatto sullo stato di malattia, nel senso che non ha pregiudicato o ritardato i tempi di guarigione.

Si tratta di cause dagli esiti nient’affatto scontati.

Ed, invero, in giurisprudenza si rinvengono delle recenti pronunce della Corte di Cassazione (v. Cass., Sez. Lav., Ord. 28/5/2018 n. 13270; Cass., Sez. Lav., Ord. 4/7/2018 n. 17424) che hanno confermato la decisione dei giudici di merito che avevano dichiarato illegittimo il licenziamento.

Nel primo caso, deciso con l’ordinanza n. 13270/2018, perchè le testimonianze assunte nel processo avevano consentito di accertare che la lavoratrice (assente dal lavoro per tendinopatia bilaterale sovraspinoso spalla destra e sinistra) si era recata solo per poche ore presso il bar gestito dal marito per svolgere attività di vendita ed incasso, e, quindi, tale attività, per la sua occasionalità, non è stata ritenuta idonea, dalla Suprema Corte, a comportare pregiudizievoli ricadute sullo stato di salute della lavoratrice.

Nel secondo caso, deciso con l’ordinanza n. 17424/2018, perchè si è accertato che lo svolgimento dell’attività (extra)lavorativa (tinteggiatura di esterni di un edificio) durante la malattia non fosse incompatibile con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa (gastroenterite), né determinasse un pregiudizio al normale recupero delle normali energie psico-fisiche.

Lo Studio Legale Nouvenne offre la propria assistenza nella tematica in questione sia ai Datori di lavoro che ai lavoratori.