Sono frequenti, come testimoniano anche le cronache, i casi di Pubbliche Amministrazioni che fanno ricorso massivo ai contratti a tempo determinato – che vengono, poi, prorogati, nel tempo, ed anche per molti anni – al fine di coprire uno stabile fabbisogno di personale e, quindi, in assenza delle condizioni (rappresentate dalla necessità di far fronte ad “esigenze temporanee ovvero circostanze eccezionali”) richieste dalla legge (art. 36 del D.Lgs. n. 165/2001) per il ricorso ai rapporti di lavoro a tempo determinato.

L’abusivo ricorso ad una successione di contratti a termine da parte di una Pubblica Amministrazione pone il problema di quale sia la tutela da riconoscere al dipendente pubblico in tal modo “precarizzato”.

Sul punto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, in adesione alle previsioni di legge, ha sempre escluso che il lavoratore pubblico, che abbia prestato attività lavorativa in virtù di una serie reiterata di rapporti di lavoro a termine, possa chiedere, al pari di quanto avviene per i lavoratori del settore privato, la trasformazione del rapporto di lavoro a termine in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato; a ciò ostando la norma di cui all’art. 97 Cost., che prevede, per l’accesso ai ruoli pubblici, la regola del concorso.

Mentre, la stessa giurisprudenza ha sempre affermato il diritto del dipendente pubblico, che sia stato illegittimamente utilizzato mediante una serie reiterata di contratti a termine, di richiedere il risarcimento del danno.

Per quanto riguarda la natura del danno in questione, la Suprema Corte – con sentenza emessa a Sezioni Unite pochi anni or sono (cfr. Cass. – S.U. – 15/3/2016 n. 5072) e successivamente convalidata dalla Corte di Giustizia UE – si, è, infine, risolta a riconoscere in favore dei lavoratori pubblici in questione un danno presunto di natura c.d. “comunitaria”, danno da riconoscere, quindi, in automatico, in favore dei dipendenti pubblici in ogget.

Mentre, per quanto riguarda i criteri per la quantificazione del danno in parola, la Suprema Corte ha ritenuto di fare ricorso alla tutela indennitaria/risarcitoria prevista dalla legge per i lavoratori del settore privato (art. 32, comma 5, L. n. 183/2010 e succ. mod.) e, quindi, ha quantificato il danno in questione in un importo che va da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; è, comunque, fatto salvo il diritto del dipendente pubblico, che abbia subito l’abusiva reiterazione di contratti a termine, di poter richiedere gli eventuali danni ulteriori (patrimoniali e non).

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